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Mondi (im)possibili

L'arte dello spiazzamento in Matteo Giuntini e Foto Marvellini

ARTISTI: Foto Marvellini, Matteo Giuntini

SPAZIO ESPOSITIVO: UMA Gallery, Novara
ANNO: 2022

L’etnografa Marianella Sclavi, nel suo libro “L’arte di ascoltare e i mondi possibili”, sottolinea come lo spiazzamento costituisca una modalità fondamentale di rapporto con gli altri e di conoscenza di noi stessi. Oltre a insegnarci la predisposizione nello “stare spiazzati”, rappresenta l’occasione per scoprire nuovi mondi in risposta agli approcci spiazzanti degli altri, in modo da ridefinire il contesto e rendere possibile l’incontro su nuovi orizzonti, nuove coordinate, nuove cornici.
Pensiamo dunque all’arte contemporanea: in tutta la sua parabola non ritroviamo forse una costante propensione allo spiazzamento? In Duchamp la tecnica del “ready made” consiste in un doppio spostamento: un oggetto è prelevato dal suo contesto abituale e situato in uno diverso (museo, galleria), mentre il processo mentale sposta l’idea consueta che abbiamo di quell’oggetto in una nuova idea “spiazzante” da cui dipende l’essere opera d’arte e non più oggetto comune.
Pensiamo a Bruno Munari e alle sue “macchine inutili”: complicati oggetti meccanici che “non fabbricano, non eliminano manodopera, non fanno economizzare tempo e denaro, non producono niente di commerciabile” (B. Munari, 1937), spiazzando la consuetudine per cui una macchina debba essere per forza utile.
Nelle sue fotografie, Jan Dibbets - pioniere dell’arte concettuale - ci mostra non tanto “cosa” ma “come” vedere: le sue famose immagini dell’orizzonte indagano inedite possibilità del mezzo fotografico e delle illusioni visive legate al suo piano bidimensionale, creando uno spiazzamento decisivo.


Nuovi e personali spiazzamenti sono messi in atto da molti artisti, nostri contemporanei, che proseguono secondo modalità e sensibilità proprie quel che è stato un cardine della storia dell’arte del XX secolo.

Diversi per sensibilità, gesto e approccio, Matteo Giuntini e Foto Marvellini condividono un’attitudine che porta entrambe a “spiazzare” lo spettatore e mistificare il mondo visivo. Siano la pittura ruvida di Giuntini o la fotocomposizione raffinata dei “fratelli” Marvellini, siamo di fronte a operazioni artistiche che procedono per stratificazioni di significati, ricordi e parole. Accumulazioni di elementi che non portano a una descrizione del mondo o a un’analisi della realtà, ma agiscono in maniera spiazzante sullo spettatore facendo deflagrare cortocircuiti visivi e concettuali sulla superficie bidimensionale del quadro.

 

Matteo Giuntini si muove essenzialmente nel territorio della pittura, ma lo fa in maniera dirompente e viscerale. La sua è un’arte panteistica che celebra la natura e la sua forza irrazionale. Parte di questa natura è l’essere umano: non centro di un mondo al suo servizio, ma soggetto agente e pensante nel vortice caotico delle cose naturali. Le connessioni che il pittore livornese ci propone sono degli inganni per spiazzarci: i titoli ci portano lontano dai significati, i rapporti di causa-effetto saltano sotto i nostri occhi. Siamo nel regno dell’assurdo e del paradossale, pienamente a nostro agio, dopo lo spiazzamento iniziale. La difficoltà di stare al mondo, comune a ogni essere umano, esplode sulla tela di Giuntini attraverso volti grotteschi e segni primordiali che ricordano le pitture rupestri. Elementi vegetali che sembrano uscire da erbari medievali irrompono nella rappresentazione: non sono immagini consolatorie o decorative, ma frammenti di natura che per difesa e inganno vanno fuoco, mentre profili animaleschi emergono dallo sfondo. È un’arte a suo modo mistica, fatta di un animismo contemporaneo che si posa su ogni aspetto della realtà per divorarlo, assimilarlo e infine restituirlo sulla tela in forma di pittura.

 

Il duo artistico Foto Marvellini - che si racconta come premiata ditta, erede di ritrattisti e grafici milanesi - mette in scena uno spiazzamento molto più razionale rispetto a quello di Matteo Giuntini.
Raffinate fotocomposizioni dall’atmosfera ottocentesca mostrano una serie di personaggi mentre posano presso antichi studi fotografici. Le incongruenze sono subito evidenti, anche se visivamente armonizzate in sapienti aggiustamenti grafici e cromatici: il facchino ottomano è piegato sotto il peso di un enorme pacco targato Amazon, il vecchio parroco indossa una tunica vergata dal grande baffo della Nike, il soldato di ventura – invece di zaino e moschetto - veste il contenitore portavivande usato dai rider per consegnare il cibo a domicilio.
Sono cortocircuiti cronologici che giocano sulla riconoscibilità piena di significati e significanti: la penetrante potenza visiva dei marchi internazionali è usata per creare ironiche e sottili riflessioni sul nostro rapporto con l’immagine fotografica, il tempo e la pubblicità. L’omologazione attuata dal modello capitalista rende immediatamente e globalmente comprensibile l’accostamento dissacrante; la stessa operazione è resa tuttavia possibile anche dalla pervasività di un modello di immagine fotografica – quella di studio tardo ottocentesca – anch’essa globale e di stampo prettamente occidentale. I due livelli viaggiano paralleli mostrando un’impossibile verosimiglianza che ci porta a riflessioni forse amaramente critiche, al di là del sorriso iniziale, come un motto di spirito freudiano che svela - tramite una battuta - una verità dell’inconscio che risulterebbe sconveniente se rivelata in modo diretto.

Se al centro del mondo visivo di Matteo Giuntini troviamo l’uomo-natura, con la sua carica selvaggia e irrazionale, in Foto Marvellini abbiamo l’uomo-consumatore, immerso in un oceano di brand e icone, dove sono saltate la gerarchie tra immagini e tutto fluttua in un continuum spazio-temporale.
Sono mondi che tengono insieme il possibile e l’impossibile come sfere che si sovrappongono senza fondersi l’una nell’altra. Mondi (im)possibili che la pratica artistica genera e alimenta in un instancabile processo creativo.
 

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